La sentenza qui in commento si occupa di un caso di grave ed estesa contaminazione della falda acquifera superficiale ed intermedia, dovuta alla dispersione nel sottosuolo di idrocarburi e metalli pesanti riconducibili all’attività di una raffineria petrolifera. Il merito della vicenda può sinteticamente così riassumersi. Esclusa l’ipotesi di un’origine storica dell’inquinamento – tesi giudicata infondata in fatto e parimenti irrilevante in punto di diritto ex art. 41, comma 1, C.p. – la causa dello stesso veniva pacificamente individuata nello stato di ammaloramento della rete fognaria della raffineria. La presentazione di un piano di caratterizzazione (aprile 2001), a sua volta, veniva intesa quale dimostrazione della piena consapevolezza, da parte dei vertici aziendali, degli sversamenti in atto e costituiva, pertanto, il presupposto per due ordini di contestazioni: da una parte, aver cagionato l’avvelenamento delle acque sotterranee per aver omesso/ritardato il risanamento delle condutture, nonché il controllo della migrazione degli inquinanti verso le aree limitrofe; dall’altra, non aver adempiuto al conseguente obbligo di bonifica. L’originario impianto accusatorio subiva, tuttavia, un notevole ridimensionamento già per mano del GUP avanti il quale veniva celebrato il rito abbreviato condizionato: l’accusa (rivolta a tutti gli imputati) di avvelenamento doloso (art. 439 c.p.) veniva, infatti, derubricata a disastro, con assorbimento in questo dell’evento di pericolo ambientale inizialmente fatto oggetto di autonomo capo di imputazione. Di conseguenza, dei cinque dirigenti rinviati a giudizio: due venivano condannati per disastro doloso (art. 434, comma 2, c.p.); altri due per disastro colposo (art. 449 c.p.); uno veniva assolto da tutti i reati e le contravvenzioni a lui contestate. La Corte di Assise di Appello, dal canto suo, condannava solo uno dei suddetti imputati, riqualificando però il fatto di reato di disastro doloso a lui ascritto in disastro colposo, aggravato ex art. 61 n. 3 c.p.. Gli altri dirigenti venivano invece assolti sia dalle accuse di disastro, che dalla contestata contravvenzione di cui all’art. 257 del T.U. Ambiente. Tanto premesso, i profili giuridici di maggior interesse nella sentenza in commento attengono, quindi, a: definizione del fatto tipico del delitto di avvelenamento di acque o di sostanze alimentari (art. 439 c.p.), quale reato di pericolo concreto; riconducibilità entro l’ipotesi di disastro c.d. innominato dei casi di grave compromissione delle matrici ambientali riconducibili ad attività industriali; ricostruzione del dolo richiesto dalla fattispecie di cui all’art. 434 c.p.; imputazione colposa di un disastro verifica della continuità normativa tra l’art. 51 bis del Decreto Ronchi (D. Lgs. n. 22/1997) e l’art. 257 del T.U. Ambiente (D. Lgs. n. 152/2006).