Il Direttore Generale – «titolare di delega ad hoc in materia di prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro» ed al quale, dunque, «doveva essere riconosciuta la qualifica di datore di lavoro» – ed il Responsabile di Area – «e, dunque, titolare delle funzioni e compiti propri del dirigente» – di una Società cooperativa appaltatrice dei lavori di costruzione di un complesso residenziale venivano tratti a giudizio per la morte di un operaio (dipendente di altra Società subappltatrice), rimasto travolto dal terreno distaccatosi dal fronte di scavo di una trincea privo di armature di sostegno o contenimento (artt. 113 e 589, comma 1 e 2 C.p.). Più precisamente, ad entrambi gli imputati erano stati contestati profili di colpa generica e specifica, consistita nella violazione dell’art. 119 del D. Lgs. n. 81/2008 ( «che impone a datore di lavoro e dirigente di applicare armature di sostegno nello scavo di trincee profonde più di 1,5 metri, quando la consistenza del terreno non dia sufficiente garanzia di stabilità, anche in relazione alla pendenza delle pareti» ), nonché dell’art. 97, commi 1 e 3 del medesimo Decreto, «per non aver vigilato sui lavori concessi in sub appalto e sull’applicazione delle prescrizioni del Piano Sicurezza e Coordinamento (PSC)» e per non aver «verificato la congruenza del POS (Piano Operativo di Sicurezza) dell’impresa sub appaltatrice rispetto al proprio PSC (…) prima della trasmissione del POS medesimo al coordinatore per l’esecuzione». Solamente al Direttore Generale veniva inoltre addebitata, sempre a titolo di colpa specifica, la violazione dell’art. 2087 C.c., «per non aver, nella sua qualità di imprenditore, adottato le misure che secondo la qualità del lavoro, l’esperienza e la tecnica erano necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità del lavoratore» . Con la sentenza in commento, la Corte di Appello di Bologna ha confermato la condanna precedentemente inflitta dal Giudice di primo grado. Tuttavia, la circostanza per la quale, in pendenza della celebrazione del giudizio di appello, fosse intervenuto l’integrale risarcimento dei danni ai prossimi congiunti dell’operaio deceduto (con conseguente revoca delle relative costituzioni di parte civile), convinceva il Collegio della possibilità di riconoscere agli imputati sia le circostanze attenuanti generiche – negate dal primo Giudice – come equivalenti rispetto alla contestata aggravante prevenzionistica, sia la sospensione condizionale della pena così rideterminata.