Il Presidente del Consiglio di Amministrazione e due amministratori (di fatto) di una società venivano tratti a giudizio perché accusati dei reati previsti e puniti dagli artt. 4 e 5 d.lgs. 74/2000. Più precisamente, veniva loro contestato, nelle rispettive qualità: a) di aver infedelmente dichiarato poste attive per un ammontare inferiore a quello effettivo, al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto per gli anni fiscali dal 2007 al 2010; b) di aver omesso di presentare la dichiarazione relativa all’anno fiscale 2009 al fine di evadere l’imposta sui redditi. Tali violazioni sarebbero state attuate mediante la costituzione e la fittizia localizzazione della residenza fiscale della società all’estero, in Portogallo, all’unico scopo di sottrarsi al più gravoso trattamento fiscale italiano. Il Tribunale di Brindisi, sul presupposto che « la costituzione [della società] fosse meramente formale a fronte di una sede di “direzione effettiva” in Italia (in Brindisi) », ha qualificato tale operazione come “esterovestizione societaria”, ossia abuso del diritto di libertà di stabilimento perché esercitato all’unico fine di conseguire indebiti vantaggi fiscali. In conseguenza di ciò, il giudice ha riconosciuto la sostanziale applicabilità della legge nazionale, affermando così la penale responsabilità degli imputati per i reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. 74/2000. Differentemente dal primo giudice, l’adita Corte di Appello di Lecce esclude, nel caso in esame, la configurabilità di un’ipotesi di “esterovestizione”. Pertanto, con la sentenza in commento, gli imputati sono assolti dai reati loro ascritti perché il fatto non sussiste.